Eravamo 4 amici al Tour…

Ebbene sì, 4 amici (di cui 3 ben Geo Davidson) Marco Santini, Roberto Specchia, Piero Cordano e Pierluigi Fava, si sono recati a vedere la penultima tappa del Tour de France 2024 di ricente dominato da Tadej Pogačar!

Marco, Roberto, Piero e Pierluigi

La loro bella “zingarata” ci viene raccontata da Piero con il suo inconfondibile stile ironico e divertente, buona lettura!

Qualcuno sa dirmi perché, quando si decide di andare a fare un giro speciale in bicicletta, un giro “serio”, lontano dalle solite strade, ci si deve sempre alzare all’alba? E noi, che se solo ci dicessero di svegliarci mezzora prima per andare a lavorare, come le formiche di Gino&Michele anche noi nel nostro piccolo ci incazzeremmo, per andare a scalare “quel” monte, per andare a fare quella determinata salita – magari proprio nel nostro unico giorno di riposo settimanale – siamo disposti (quasi) a tutto! E così, ancora una volta sveglia con le galline e alle 06.00 partenza per la Francia, dove abbiamo in programma di scalare il Col de Turini salendo da Sospel, e il giorno dopo di assistere al passaggio del Tour de France lungo la salita dove è posto il traguardo della 20° tappa, in cima al Col de la Couillole.

Con Pierluigi Fava, Roberto Specchia e l’amico Marco Santini viaggiamo spediti sull’Autostrada dei Fiori godendoci il piacevole refrigerio dell’aria condizionata e mentre tentiamo di scacciare l’atavico timore di aver dimenticato qualcosa di importante a casa, vediamo la luce diafana che un sole già prepotente nonostante l’ora, spande sulla lastra del mare; e allora non bisogna certo essere un genio per immaginare che, nel paese di Asterix, troveremo ad accoglierci quella che i cugini d’oltralpe chiamano la “canicule”. Al confine veniamo “scannerizzati” dallo sguardo indagatore di una “possente” poliziotta della Gendarmerie (una sorta di Ispettore Callaghan al femminile, con tanto di Ray-Ban a specchio) e poi ci addentriamo nel Parco del Mercantour per raggiungere i 350 m slm di Sospel, un piccolo ma accogliente paesino adagiato in val Bevera.

Troviamo una atmosfera … da cartolina, qui tutto pare essere lindo, pulito e ordinato: alberi frondosi ombreggiano le panchine, coppie spensierate che passeggiano, aiuole fiorite ovunque e poi una tranquillità, un silenzio che a chi arriva da Rapallo sembra artefatto e quasi “assordante”.

Parcheggiamo il furgone, prepariamo le bici, ci riempiamo le tasche di gel e barrette e ci riforniamo abbondantemente di acqua, perché ci attendono 25 km di salita sotto il sole, e risaliremo ben 25 tornanti per arrivare ai 1.607 m del Col de Turini.

Pronti … via, e subito in salita (anche se non durissima) senza nemmeno il tempo per riscaldarci, anche se per Marco può evidentemente andar bene così perché sparisce quasi subito innestando il “padellone” da 53 nella sua Cipollini e inizia a “stantuffare” sulla strada con l’agilità di un fabbro ferraio. Chi lo conosce ben sa, che lui se non va così … nemmeno si diverte!

Per arrivare al piccolo borgo di Moulinet in un paio di occasioni la strada sembra anche spianare, e tutto sommato la salita è abbastanza facile fino al centro del paese, dove c’è una fontana e ci fermiamo per bere come cammelli, rinfrescarci a dovere e fare le solite foto di rito prima di ripartire, ben sapendo che da qui in avanti è … salita pura, sempre al 7 – 8%.

Il paesaggio è molto bello anche se non panoramico, perché stiamo risalendo una stretta e profonda gola con entrambi i versanti ricoperti da una fitta e rigogliosa vegetazione. Il traffico è pressoché inesistente, la sede stradale piuttosto stretta con molte curve e qualche drittone, ma soprattutto con gli spettacolari (ma agevoli) tornanti, croce e delizia di noi ciclisti ma anche il motivo per cui questo è il tradizionale tracciato di una delle più iconiche prove speciali del Rally di Montecarlo.

Quando finalmente arriviamo in cima, vediamo subito una fontana augurandoci fino all’ultimo che non si tratti di un miraggio, e poi tentiamo di darci un adeguato contegno per fare la foto in prossimità del cartello di località, in modo da tramandare ai posteri la nostra impresa, piccola certo ma per noi foriera di una grande soddisfazione. Ci rifocilliamo con merito comodamente seduti al tavolo di un bar, mentre oltre a parecchi motociclisti cominciano ad arrivare anche numerosi ciclisti, taluni gruppi anche accompagnati da guide e con al seguito pulmini, che arrivano qui oltreché da Sospel, anche dagli altri due versanti di Escarène e Plan du Var.

Riposati quanto basta, ci fiondiamo in discesa pennellando i tornanti in sequenza e cogliendo particolari del paesaggio che in salita, forse a causa della fatica, ci erano sfuggiti. Poco dopo Moulinet decidiamo di fermarci ed inerpicarci a piedi fino al suggestivo Santuario di N.D. de la Meinour, al quale si accede percorrendo dapprima una passerella in pietra sopraelevata alla strada e poi un lungo scalone in salita, assolutamente l’ideale per disfare le tacchette!

Arriviamo a Sospel avvolti in una soffocante bolla di afa, riposizioniamo le bici sul furgone e partiamo alla volta di Nizza, dove abbiamo prenotato un B&B nelle vicinanze dello stadio. Dopo esserci sistemati in camera con velocipedi e bagagli e dopo una non più procrastinabile doccia, andiamo verso il lungomare dove è già posizionato il traguardo della cronometro finale di domenica.

Ci regaliamo un leggero spuntino annaffiato da abbondante birra ghiacciata (che sudiamo interamente e istantaneamente), e poi andiamo a gironzolare fra gli stands del “Village” allestito dagli sponsor del Tour e dalla città di Nizza, dove è possibile svolgere anche attività ludiche per grandi e piccini legate al ciclismo. E’ un ampio e tranquillo spazio nei vasti giardini in riva al mare, dove ovunque campeggia il logo del Tour de France e troneggiano le maglie giganti della corsa: quella verde, quella bianca, l’ambita maglia a pois e “le maillot jaune”, simbolo del leader della Grande Boucle.

Passeggiamo per le vie del centro in cerca di un posto dove cenare, ammirati dai bei locali e quasi sospinti da una vera fiumana di gente, con il buon Roberto che strabuzza gli occhi di continuo mentre gli cade ripetutamente la mascella a causa dell’impressionante, spropositato e oserei dire interminabile défilé (W la F…rance!) di pregevoli esemplari femminili di fauna locale. C’è veramente da rimanere … a bocca aperta!

La mattina seguente, dopo un buon sonno ristoratore, quando scendiamo a fare colazione incontriamo molte persone col badge del Tour del France e che quindi, a vario titolo, fanno parte della smisurata carovana della corsa. Dopo aver immagazzinato il giusto numero di proteine, grassi e carboidrati, risaliamo in furgone con bici e bagagli diretti a St. Sauver sur Tinée, dove nel pomeriggio i corridori, dopo aver scalato in successione il Col de Braus, il Col de Turini e il Col de la Colmiane imboccheranno l’ultima salita di giornata, il Col de la Couillole.

Man mano che ci avviciniamo, iniziamo ad avere contezza di quanta gente troveremo con noi ad assistere al passaggio della tappa. Avevamo inizialmente pensato di parcheggiare il furgone lungo la salita, ma quando arriviamo alla svolta per imboccarla vediamo che in realtà questa è chiusa al traffico già dalla sera precedente. E così proseguiamo lungo la strada principale insieme a centinaia di altri veicoli, alla ricerca di un “buco” ove poterci infilare, fra una infinità di auto, decine di furgoni e moltissimi camper, fino a quando dopo circa 3 km, Pierluigi riesce miracolosamente ad “insinuarsi” con precisione chirurgica al fianco del camper di una famiglia spagnola.

Riscendiamo verso St. Sauver con l’idea di procurarci del cibo per la giornata, ma è letteralmente … un delirio! Il paesino è minuscolo, gli unici 2 bar sono affollatissimi con code strabordanti sui marciapiedi e il piccolo minimarket è anch’esso strapieno di ciclisti e con gli scaffali quasi vuoti, depredati da un’orda di “cavallette pedalatrici”, le peggiori e più fameliche a detta dei biologi. Riusciamo a farci fare 4 panini con 2 delle ultime baguettes rimaste, e provo una certa compassione per i due titolari del negozio, sfiniti nel corpo e nello spirito anche se avranno sicuramente incassato più in un paio d’ore questa mattina che nei restanti 364 giorni dell’anno. Il problema è che temo non riusciranno ad uscirne vivi!

Inforchiamo finalmente (?) le bici e partiamo, con gli zaini in spalla. C’è un caldo “torrido” e pedaliamo insieme a centinaia di altri ciclisti, giovani e vecchi, donne e bambini, con bici da corsa, MTB, e anche bici elettriche di ogni tipo, alcune con rimorchi dove oziano piccoli tifosi del Tour del futuro. Superiamo anche una interminabile processione di gente a piedi che sale lungo questa strada stretta e tortuosa, con alcune brevi gallerie e con pendenze fisse intorno al 7 – 8 %, come se si trattasse di un pellegrinaggio ad un santuario. In molti hanno già preso posto lungo il percorso, con tavolini imbanditi, abbondanti libagioni, trombe, striscioni e bandiere di ogni nazione (pure di Paperopoli!) anche se con una evidente e schiacciante superiorità di quelle della Slovenia. I tornanti e le curve con ampia visuale, oltre alle aree ombreggiate dagli alberi, sono le zone in assoluto più ambite e perciò quasi sempre già occupate. Non conoscendo la salita noi non sappiamo bene dove fermarci e allora andiamo su pianissimo, su un asfalto bollente e impietosamente esposti ai dardi infuocati del pimpante sole di luglio, fino a quando raggiungiamo il bellissimo borgo medioevale di Roubion, posto a circa 4 km dall’arrivo di tappa dove – se Dio vuole – c’è una fontana. Il problema è che c’è anche una interminabile coda di ciclisti, tutti in fila sotto questo sole infame, che aspettano di arrivare nei pressi di una bocchetta dalla quale un ragazzino, azionando una pompa a mano (e racimolando qualche “doblone” di mancia), consente loro di rinfrescarsi e riempire le borracce.

Dopo un breve ma rigenerante riposo nella piazza del borgo, torniamo indietro per circa un chilometro in discesa e ci appostiamo in prossimità di un tornante al quale si arriva con un tratto abbastanza rettilineo, e che permette anche una visuale su porzioni di strada poste più in basso. Appoggiamo le bici al muro nella curva sotto uno striscione, scattiamo qualche foto e a questo punto … non resta che aspettare, cercando però di capire e trovare quella che potrebbe essere la posizione migliore. Ci sono altri appassionati insieme a noi, Italiani, Tedeschi, una famiglia avvolta nella bandiera danese che intona cori per Vingegaard e poi ci sono diversi Francesi, fra cui due ragazzi scrupolosamente equipaggiati per l’occasione. Essi dispongono di una enorme borsa frigo, piena in origine ma alla quale ora manca già un ragguardevole quantitativo di birre, e di un piccolo altoparlante con cui, alla fine della giornata, avranno cantato, urlato, suonato e sparato divertenti cazzate ininterrottamente, per ore ed ore. Non sono stati zitti nemmeno un nanosecondo: potenza dell’alcool (e forse anche di qualcos’altro)!

Quando dovrebbero ormai mancare una paio di ore scarse all’arrivo dei corridori, inizia a passare l’infinita carovana del Tour che ci bersaglia con un lancio a raffica di cappelli, magliette, portachiavi e di ogni genere di gadgets. Transitano anche alcune vetture buffamente carrozzate come tazze, meloni e fragole, tutto a fini pubblicitari; e poi ogni tanto qualche motocicletta della Gendarmerie, della TV, le auto della Presse, delle squadre e così … così il tempo passa finché arrivano loro, i ciclisti del Tour de France. Ne riconosciamo molti (i più famosi) e battiamo le mani a tutti, sulle note stridule ed alcoliche di simpatici coretti, sguaiatamente sbraitati all’altoparlante dai 2 ragazzi francesi.

Passa Carapaz, passa la Maglia Gialla con gli altri 2 “alieni”, poi riconosciamo Johannesen, Ciccone, Hindley, Thomas, Van Aert, Formolo e Matthews. C’è chi regala la borraccia ad un bambino, c’è chi come Almeyda mi colpisce per lo sguardo assolutamente lucido e determinato, ma sono davvero molti ad avere la faccia stanca anche se, a differenza di noi “amatori”, li vedi comunque andare su con una cadenza ed una scorrevolezza che sono impressionanti.

Guardandoli così da vicino, quello che maggiormente risalta è la loro magrezza. E’ come se il fisico della “macchina umana pedalante” sia stato ridotto all’essenzialità, avendo eliminato tutto – ma proprio tutto! – ciò che è da considerarsi superfluo.

Dopo un po’ arriva anche il “gruppetto” dei velocisti con Girmay e Van der Poel, e poco più indietro, fra gli ultimi, anche Cavendish. Ecco, se dovessi dire, mi pare di aver colto un fugace lampo di stupore nei suoi occhi, forse dovuto all’improvvisa apparizione a bordo strada dell’intrepido Roberto Specchia. Francamente non un bellissimo spettacolo da vedere, con i pantaloncini risvoltati verso l’alto a scoprire i quadricipiti femorali depilati, occhiali scuri avvolgenti, uno sbarazzino cappello giallo calcato in testa e la maglia GEO DAVIDSON ostentata con la giusta fierezza in favore di telecamera. E così mi sono chiesto: «Perché “Cannonball” lo guarda così? Gli scappa da ridere? Avrà pensato “e questo chi cazzo è”? O forse il suo compagno di banco delle elementari, si chiamava proprio Davidson di cognome?».

Scalare il Col de Turini, ma soprattutto assistere al passaggio di una tappa di montagna del Tour de France, è stata una esperienza stupenda, emozionante, peccato solo che alcuni amici della GEO che dovevano essere con noi siano stati trattenuti da impegni e contrattempi dell’ultimo minuto.

A coronamento del rito collettivo, a fine giornata, è stato bellissimo tornare a valle insieme a tutti i ciclisti e agli spettatori saliti a piedi, fra cui un singolare personaggio col vestito e il cappello a righe tipico dei carcerati, che brandiva con assoluto orgoglio ed imbarazzo alcuno, un cartello su cui era scritto “LA TERRE EST PLATTE”.

Ecco, nel ringraziarvi per avere avuto la pazienza e l’ardire di legge queste (troppe e improvvisate) righe, vi lascio con un dubbio amletico che – ne sono certo – non vi lascerà dormire stanotte, e cioè: secondo voi, questo fenomeno era un genio della comunicazione che, nella speranza di essere inquadrato ha approfittato di una platea mondiale per una burla in diretta TV, o è uno che – forse complice una “stupefacente” pozione del druido Panoramix e le lunghe ore passate sotto il sole – ci crede veramente?

Á toute á l’heure!