Come già scritto qualche tempo fa, alcuni nostri atleti si sono recati alla Nove Colli recentemente, più precisamente sono andati Marco Gardella, Enzo Gualtieri, Walter Guarnieri, Marco Oneto, Paolo Querci e Pietro Schiaffino che hanno tutti ben figurato nella manifestazione tornando a casa soddisfatti.
Come tutte le Granfondo a cui si partecipa lascia nel ricordo di se stessa, ad ogni partecipante, diverse caratteristiche che l’hanno resa unica. Abbiamo quindi chiesto un resoconto della stessa a Marco Gardella che, con una bella raccolta di emozioni personali e descrittive dell’evento, ha dipinto un quadro della corsa.
Ringraziandolo del tempo dedicatoci, leggiamo direttamente dalle sue parole com’è andata:
Ancora una volta qui! Ed è la quinta volta. Dopo una pausa di due anni ho deciso di riconciliarmi con la Nove Colli. L’ultima volta, anno 2015, di colli ne avevo affrontati solo quattro sotto la pioggia per quattro ore di fila.
Sono le quattro del mattino. Il mio compagno di camera, fa finta di dormire. E’ ora di alzarci e la lunga giornata ci attende. Nella sala colazioni c’è già una discreta confusione, ma non si chiacchiera molto.
Ore cinque e trenta si esce dall’albergo e dopo un breve tragitto siamo in griglia….
E’ necessario che ora spieghi. Nove Colli è una granfondo (anzi LA granfondo) alla cui partenza si schierano tutti gli anni oltre dodicimila partecipanti; quindi il gruppo viene diviso in gruppi di varie dimensioni. Quest’anno il mio numero di pettorale è il numero 9229, quindi parto in sesta griglia (arancione) ed ho almeno ottomila persone davanti. Con me c’è solo Pietro Schiaffino, Enzo un po’ più indietro perché scoprirò dopo che ha trovato la ruota bucata alla partenza dall’albergo e quindi ha fatto un po’ tardi.
Più avanti, due griglie in avanti (gialla), sono invece alcuni compagni di avventura.
Sono le sei in punto, Inno Nazionale, dopo i fuochi di artificio ed il tradizionale colpo di cannone la partenza dei primi. Via via partono i gruppi avanti. La tensione sale. Finalmente si parte, sono le sei e trentacinque. Perdo subito di vista Pietro, tanto lui so che farà il percorso corto, e quindi resto solo; è la prima volta generalmente alla partenza sono accompagnato dall’amico Marco che è anche il mio compagno di camera. Lui pilota ed io seguo a ruota. Non nascondo che spesso mi sono lamentato per le accelerate e la fatica che devo fare per tenerne la ruota; ma la sua presenza un po’ mi tranquillizza.
Quindi di necessità virtù, manca il pilota ma non si può rimanere al vento e quindi si salta da una ruota all’altra cercando il ciclista che ti permette di andare veloce e rimanere il più possibile al coperto.
I primi 27 km passano veloci, siamo all’inizio della prima salita, il “Polenta”. Una volta un amico mi aveva chiesto se è vero che alla Nove Colli capita di dover mettere piede a terra per colpa degli intasamenti. Avevo risposto che a me non era mai capitato. Ho dovuto mio malgrado ricredermi. Quest’anno infatti mi sono dovuto fermare per ben tre volte.
Salgo lungo “Il Polenta” mantenendomi a sinistra, sulla corsia di sorpasso, e quando è possibile cerco di sopravanzare chi va un po’ più piano. La salita è corta e velocemente arrivo in cima. Anche la successiva discesa è un po’ pericolosa, c’è troppa gente. Inizia quindi la salita di “Rivoschio”. Sempre tanta gente. Ho raggiunto i ciclisti delle griglie più avanti. Tante forature, mi riferiscono che qualche “cretino” ha gettato chiodi sul lato destro della strada. I pettorali che mi circondano ormai non sono solo arancio, ma anche rosa ed alcuni gialli. Chissà se riuscirò a raggiungere alcuni degli amici partiti più avanti? Sono in cima ed arrivo al ristoro. Mi fermo e velocemente riempio una borraccia, raccolgo un pezzo di banana ed un cubo di crostata e riparto. Mai fatto un ristoro così alla svelta. Veloce discesa ed inizia la “Ciola”. Il traffico un po’ diminuisce e si sale più tranquilli; salto il ristoro e mi lancio in discesa. Butto giù un gel perché so che la prossima salita mi sarà utile. Velocemente sono a Mercato Saraceno, passo il ponte e vedo il cartello di inizio salita, il famigerato “Barbotto”. Cinque chilometri con pendenza costante tra il sette e l’otto percento; un ultimo chilometro con punte al diciotto e costantemente sopra il dieci. Decisamente duro. Questa, per chi sceglie il percorso corto, è l’ultima salita, per chi sceglie il lungo è salita da fare con pazienza e senza esagerare perché si sentirà nelle gambe anche più avanti.
Anche se la salita è cronometrata per stilare una specifica classifica, salgo piano, me lo impongo. Sono all’ultimo chilometro si sente lo speaker in cima che incita i ciclisti che transitano sul GPM. Il tratto “cattivo” mi sembra meno duro del solito e faccio poca fatica, sorpasso alcuni ciclisti che salgono a piedi ed arrivo al GPM. Il successivo ristoro è troppo affollato, lo salto tanto avevo già deciso così prima di partire. Si scende verso il bivio che separa i due percorsi. Rispetto al 2012, che è stata la mia prima avventura, hanno aggiunto una rotatoria. Giro a destra, a sinistra vanno via veloci i ciclisti del percorso corto che ormai sono a meno di una mezz’ora dal traguardo. Io so che ne avrò per almeno altre quattro ore. Subito mi fermo al ristoro. E dopo aver riempito le borracce aver mangiato qualcosina riparto. Ora mi aspettano in fila il “Monte Tiffi”, due soli chilometri ma cattivi, poi “Il Perticara” salita di nove chilometri non dura, ma irregolare e con asfalto ruvido, dove la bicicletta non avanza per niente. Vedo una maglia GEO di schiena, Ho un attimo di confusione e non riesco a capire chi sia. Lo affianco è un amico che in albergo aveva dichiarato di scegliere il percorso corto dicendo di essere poco allenato. Mi dice “vai che vai bene…” e testuali parole: “porterò a termine questa fatica….”; dice di essere un po’ in crisi. Lo vedo molto concentrato. Arriverà comunque al traguardo contento; anche lui aveva un conto aperto con questa granfondo.
Salgo forse troppo forte arrivo in cima e salto il ristoro, ho ancora acqua quindi mi fermerò al prossimo. La discesa è abbastanza veloce e ormai non c’è più il traffico dei primi chilometri. Ogni tanto mi sorpassa veloce qualche ciclista che scende molto veloce, forse troppo. Inizia il “Pugliano” salita anche questa irregolare e lunga nove chilometri. Trecento metri e sento arrivare improvviso un crampo alla gamba sinistra e poi, i ciclisti lo sanno, le gambe si parlano ed anche la destra si contrae. Impossibile proseguire. Mi fermo sul ciglio della strada e mi stiro le gambe. Riparto con le gambe ancora doloranti e salgo per alcune centinaia di metri con un rapporto molto duro. I crampi mi lasciano e quindi posso ritornare a pedalare con il mio passo. Ogni tanto mi accorgo che sto salendo troppo forte ed inizio a rimproverarmi da solo per la mia incoscienza. Mancano infatti ancora tanti chilometri al traguardo e due salite. Arrivo in cima e questa volta mi fermo al ristoro. Incontro ancora un amico. Ripartiamo insieme e scendiamo a valle. In fondo alla discesa l’amico mi incita ad andare da solo verso il traguardo lui dice se la prenderà con un po’ di calma. Anche lui è alle prese con i crampi. Inizia la salita delle “Siepi” la conosco e mi piace; forse perché è regolare e tutto sommato non è dura. Velocemente sono in cima. Discesa e poi occhio a chi arriva; i prossimi chilometri sono in falsopiano a scendere e sempre controvento. Ho bisogno di infilarmi in un gruppetto che mi porti all’inizio della prossima salita cercando di faticare il meno possibile. Arrivano, ora occorre restare concentrati e non si possono perdere le ruote. Velocemente siamo all’inizio del “Gorolo” che è l’ultima fatica. Anche questa è una salita irregolare, non troppo dura, che però nell’ultimo chilometro presenta tratti al quattordici percento. Duecento metri e sono ancora crampi. Non mi fermo neanche per sogno. Le gambe si contraggono e mi fanno male; butto giù la catena su un rapporto più duro ed insisto. Prima o poi dovranno ben finire. In effetti dopo cinquecento metri le gambe ricominciano a girare regolari. Ora si tratta solo di stare molto attenti a non strafare. Arriva il tratto duro lo affronto con attenzione, cercando di forzare il meno possibile. Sono al GPM. Ora inizia un fastidioso tratto vallonato. Poi la discesa che si affronta cercando di non perdere le ruote di chi ti sta davanti; ti serve qualcuno a cui aggrapparti nei successivi quindici chilometri di pianura che ti separano dal traguardo nei quali il vento di mare ti soffia in faccia. In effetti in fondo mi supera un ciclista grosso come un armadio, si chiama Giovanni (ognuno di noi sul dorsale oltre al numero ha scritto anche il nome). In un attimo formiamo un gruppetto di sette ciclisti e così andiamo veloci al traguardo superando alcuni in evidente crisi ed altri che stanno completando il percorso corto. Concedo un solo cambio e poi mi limito ad incitare, ringraziare, ed ogni tanto in silenzio a maledire per le accelerazioni di chi mi sta davanti. Ma Giovanni non lo mollo! Ed è così che arriviamo al rettilineo di arrivo; ringrazio la mia motrice “Giovanni” e rallento un poco per passare il traguardo da solo. Sempre una grande emozione. Mancano pochi minuti alle quindici. Il mio tempo al traguardo otto ore e ventuno minuti circa. Tutto sommato non male.
Non so se tornerò ancora a Cesenatico per la Nove Colli perché credo di aver già dato abbastanza alle sue strade. Non occorre essere un grande ciclista per arrivare alla fine di questa lunga corsa che è persino troppo lunga da raccontare e poi da leggere! Tutto sommato ci vuole solo perseveranza e pazienza. Occorre essere consapevoli che la crisi arriverà, non sai quando, ma non bisogna averne paura. Lo ho detto e lo scrivo: la Nove Colli (e questo vale anche per le altre lunghe granfondo) non è altro che la metafora della vita si sale e si scende, si soffre e poi si è contenti. Di una cosa sono sicuro invece. Dopo otto ore abbondanti di fatica comunque ci si conosce un po’ meglio. (M. Gardella)