Intervista a Giacomo Pellizzari

Caro Giacomo,  grazie innanzi tutto di aver accettato di raccontare qualcosa di te agli atleti della Geo Davidson ed ai nostri lettori, cercherò innanzi tutto di spiegare a chi ci legge, il perché ti abbia proposto questa intervista prima di procedervi:
 
Pellizzari alla Ötztaler Radmarathon,

Ti seguo da diverso tempo, ho iniziato a leggere libri sul ciclismo partendo proprio dal tuo “Ma chi me lo fa fare” (2014) ed ho scoperto, dopo aver notato che eri disponibile sia su Facebook che Twitter, proprio tramite i social, di avere alcuni interessi in comune con te. 

 
Purtroppo una di queste cose in comune non è il peso, la salita la soffro molto più di te che so essere invece un’amante di questa pratica, a volte infatti capiti anche sulle nostre alture liguri per godere delle nostre vallate e panorami sul mare. Amiamo entrambi la musica rock, in varie sfaccettature ed il ciclismo, nel quale sei…

sicuramente più ferrato di me, che seguo da relativamente poco questo mondo.
 
Ma veniamo quindi a questo sport che ha come fondamenta principale, la fatica volta al raggiungimento di obiettivi naturali e sportivi che ben si sposano con il benessere dell’uomo.
Impagabili sono infatti i momenti della conquista di una vetta, di un passo, di un chilometraggio agognato o un percorso collinoso.
 
Ho continuato poi, nel tempo, le interessanti letture con “Il carattere del ciclista” (2016) e “Storia e geografia del Giro d’Italia” (2017).
 
1) E qui si apre il discorso con te, dimmi, come è nata questa tua passione per il mondo del ciclismo sia praticato che letto?
In modo semplice, spontaneo, del tutto naturale: appena ho iniziato a pedalare ho capito che era il mio sport. Ero leggero, piccolino e predisposto per gli sport di fondo (da piccolo nuotavo e andavo piuttosto forte e avevo praticato anche sci di fondo). 
Per quello letto, vi racconto un aneddoto: quando ero in cima la passo Sella, mi sono fatto scattare una fotografia. Identica a quella che si fece fare mio nonno, grande appassionato di ciclismo, nel 1935. Con lui guardavo il Giro, il Tour, le Classiche, mi leggeva Brera, Buzzati…
 
2) Quando hai deciso, esattamente, scriverò di ciclismo?
Non ho deciso, mi è successo: tornando dalle uscite in bici provavo fin da subito il bisogno impellente di mettere nero su bianco ciò che avevo visto, provato, annusato. 
 
3) Come scegli gli argomenti di cui trattare nei tuoi libri?
Mi colpiscono delle storie, oppure dei posti toccati dal ciclismo, oppure ancora delle cose provate da me in prima persona. Più ne resto colpito, più ne scrivo: poi rileggo, e se mi sembra una bella storia, la propongo per un libro e vado avanti a scriverla. 
 
4) Gli articoli che pubblichi sulla rivista Cyclist Magazine offrono un interessante parallelo fra musica e ciclismo, come ti lasci ispirare per proprorre questi connubi?
Trovo una naturale assonanza tra bici – musica – scrittura. Una triade perfetta, che unisce le mie 3 grandi passioni. Spesso pedalando in giro per l’Italia mi è capitato di pensare: “ma questo posto ha una colonna sonora, questa strada rimanda un suono, questo percorso ha un suo sound!!
 
5) Credi che vi sia possibilità, nella società odierna, di poter vedere sviluppato il mondo su due ruote a pedali in maniera consistente e fino all’ottenimento della parità dei diritti con i mezzi a motore?
Io credo di sì. Ma credo anche ci vorrà molto tempo, soprattutto in un paese come il nostro, nato e cresciuto con il culto dell’automobile. 
Vivo a Milano, città che sta cambiando molto rapidamente: le piste ciclabili cominciano a diffondersi in maniera sempre più capillare, un segnale che mi fa pensare positivo. 
 
6) Trovi che si stia facendo abbastanza per la sicurezza delle due ruote? Risultati se ne vedono?
Si è fatto qualcosa, ma diciamo che è sicuramente troppo poco. In bici e per strada siamo sempre l’anello debole, si muore per un errore, per una notifica su whatsapp, per una distrazione di un attimo. Gli automobilisti non sono ancora “educati” al rispetto del ciclista. Solo chi va in bici, riesce – e non sempre – a mettersi poi, quando guida, nei panni di chi pedala. Risultati se ne vedono? difficile dirlo, anche perché sono di molto aumentate le persone che pedalano, dunque anche gli incidenti. Pensate a Scarponi, ad esempio, pensate a quell’attimo di distrazione. Umano, ma sufficiente a uccidere un ciclista. 
 
7) Lascia un pensiero che possa attirare ed incuriosire, chi ancora non conosce il mondo del ciclismo e lo convinca a provare ad appassionarsi a tale esperienza.
Montate in bici, non si fa poi tanta fatica. E scoprirete, non solo uno sport o un semplice mezzo di trasporto, ma un modo di vedere le cose. 
Eddy Merckx, il ciclista più forte di tutti i tempi, una volta ha detto “Percorri una strada in auto e ti fai un’idea. Ripercorri la stessa strada in bici e cambi quell’idea”.
 
Grazie ancora a Giacomo Pellizzari per il tempo che ci ha concesso, speriamo che anche voi possiate iniziare a conoscerlo (se già non lo avete fatto) da queste righe e gli auguriamo buone pedalate e buoni resoconti delle sue future avventure!
 
Paolo G.